il Libro

parte prima - capitolo trentacinquesimo

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A cinquantatré anni Girolamo Cerioni si sentiva un uomo al crepuscolo. Avrebbe potuto più facilmente rassegnarsi se avesse avuto il tempo di assuefarsi a un lento declino e invece lo scadimento della sua condizione fisica e morale era avvenuto quasi da un momento all'altro sotto l'incalzare di eventi che lo avevano fiaccato ben più di quanto fosse dovuto all'insufficiente nutrizione. Il capitano era vittima di una crisi interiore che di giorno in giorno andava alimentandosi di sempre nuove ragioni.
La protezione di un architrave lo aveva miracolosamente salvato nel crollo dell'edificio sotto il quale s'era rifugiato a Napoli durante l'incursione aerea che aveva preceduto l'armistizio, ed egli era uscito all'aperto quasi indenne ma stravolto. Ai suoi occhi, nel momento in cui i primi soccorritori s'erano fatti strada alla luce delle torce, era apparso un agghiacciante spettacolo di corpi dilaniati, di cadaveri con il volto contorto dal terrore e dall'agonia. Al fronte, nella Prima guerra mondiale, aveva visto molti morti ma non mai tanti insieme come nel macabro viluppo affiorante sotto te macerie del rifugio. E i morti che egli ricordava erano soldati caduti combattendo con le armi ancora nel pugno, non donne in poveri grembiuli di casa, bambini con le fragili ossa spezzate, vecchi col cranio sfondato.
Ada, che lo aveva atteso sempre più angosciata, lo aveva abbracciato piangendo ma non aveva saputo confortarlo anche perché egli le aveva taciuto, per ritegno, l'intensità dell'orrore che lo agitava. L'indomani, acquistata all'Unione Militare una nuova uniforme che non gli si attagliava perfettamente, aveva ripreso il lavoro alla censura, dove le assenze erano numerose e si respirava aria di smobilitazione.
S'erano poi diffuse le prime notizie di rivolta delle popolazioni contro i tedeschi e delle immediate sanguinose rappresaglie. Si diceva che a Nola alcuni ufficiali italiani fossero stati fucilati e che Ì civili avessero costituito un nucleo dì resistenza armata. A quanto pareva, si trattava di reazioni ai saccheggi e alle intimidazioni da parte delle truppe del Reich che si accingevano alla ritirata.
Quando i saccheggi erano iniziati anche a Napoli, dove già mancava l'acqua e la fame andava crescendo a causa della cessazione dei rifornimenti, la miscela esplosiva era giunta a saturazione, sapientemente alimentata dall'ultimo crudele bombardamento alleato ad armistizio ormai firmato. I tedeschi avevano aggiunto alcuni tocchi finali ordinando lo sgombero di un litorale, che imponeva il repentino esodo di centinaia di migliaia di residenti, e il reclutamento coatto al lavoro degli uomini fra i diciotto e i trentatré anni. Mentre i giovani si imboscavano e la città si stringeva a proteggerli in tutti i modi indipendentemente da vincoli di parentela o di conoscenza, i tedeschi, che realizzando lo stato d'assedio avevano già invaso l'università ed eseguito fucilazioni, intensificavano Ì rastrellamenti e riuscivano a catturare alcune migliaia di uomini compresi fra i quindici e sessanta anni, avviandoli al campo di concentramento di Capodimonte.
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