il Libro

parte prima - capitolo quarantacinquesimo

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Federico curò d'esser cauto nel comunicare alla famiglia la sua partenza per Roma, ma parlandone col padre si rese conto che il timore di dispiacerlo raffreddava autenticamente il proprio entusiasmo.
La reazione dell'altro, però, lo tranquillizzò. Girolamo gli fece comprendere d'aver sempre creduto nella sua capacità di conservare l'impiego e volle considerare gli aspetti pratici della questione:
«Inizialmente a Roma non avrai nessun punto di riferimento. O sai già dove andare?»
«No, non ho ancora idea di come potrò sistemarmi. Ma conosco molte persone che sono in grado di darmi utili consigli. La città, del resto, è stata sempre particolarmente attrezzata per ospitare il flusso dei forestieri e non penso che incontrerò eccessive difficoltà.»
«Sì, ma non sai qual è la situazione di ora, con tutti quei soldati appena arrivati.»
«Hai ragione, ma la situazione non la conoscono nemmeno quelli che ci tornano soltanto adesso e che sono gli unici che potrebbero aiutarmi. Non resta che confidare nella provvidenza e attendere d'essere sul posto.»
«Hai fatto i conti con lo stipendio?»
«Per grandi linee, sì. Se riesco a contenere le spese d'alloggio in cinquecento lire al mese ce la dovrei fare con relativa tranquillità. Altre cinquecento lire se ne andrebbero per la mensa e potrebbero restarmi cinque o seicento lire per le altre esigenze.»
«Ma non hai detto che hai un debito con l'associazione profughi?»
«Cinquanta o cento lire al mese non mi sposteranno di certo. E poi, al limite, chiederò di pagare con maggiore comodità.»
«Sono conti risicati, t'auguro che tornino.» Non s'era offerto d'aiutarlo. Forse non poteva. Invece concluse con un commento: «Tutto questo t'impedirà di proseguire negli studi, dovrai rinunziare all'università.» Poiché sembrò che questo pensiero lo angustiasse, Federico s'affrettò a rassicurarlo:
«Non è detto. Posso iscrivermi a Roma. Sento dire che l'orario di lavoro potrebbe essere limitato alla mezza giornata, e in questo caso avrei tutto il tempo di studiare.»
Il padre lo guardò con espressione scettica, scuotendo il capo.
Il discorso con la madre fu invece quello che aveva temuto. Lei era a letto, da qualche tempo faceva sempre più fatica ad alzarsene. Gli scompensi cardiaci le procuravano disturbi quasi incessanti e lei li curava con la strofantina senza però che la spossatezza l'abbandonasse.
«Come farai, figlio mio, a vivere da solo in quella grande città?» esclamò in tono dolente.
«Mamma, non sarò solo. Ho molti amici, ho uno stipendio, il vitto assicurato e la volontà di inserirmi bene.»
«Sì, ma chi si prenderà cura di te se dovessi star male?»
(...)